Nel 1637 un evento senza precedenti dà inizio a un nuovo capitolo nella storia dell’arte occidentale: l’apertura a Venezia di un teatro destinato
a un pubblico pagante, un luogo di socializzazione interamente dedicato a un genere nascente – una sorta di arte totale che combina poesia,
musica, pittura, architettura e danza: l’opera.
La Serenissima non è alla sua prima prova in questo campo: già nel 1574, in occasione della visita del re di Francia Enrico III, aveva commissionato
al compositore Claudio Merulo, all’epoca organista nella basilica di San Marco, degli intermezzi cantati per una tragedia di Cornelio Frangipane.
Quattordici anni dopo chiedeva al suo celebre maestro di cappella Andrea Gabrieli di scrivere la musica dei cori dell’Edipo tiranno di Sofocle,
rappresentato per l’inaugurazione del capolavoro di Andrea Palladio: il Teatro olimpico di Vicenza.
Ma questi primi esperimenti nell’arte lirica, che traducevano il desiderio di riallacciarsi ai canoni della tragedia antica e costituivano così il
culmine delle metamorfosi estetiche del Rinascimento, erano allora riservati all’élite veneziana, ai nobili, ai patrizi.
Perché dunque proprio a Venezia viene inventata «l’opera pubblica»?
Ricordiamo innanzitutto che la città-stato era una repubblica. Certo non una vera democrazia, ma un’oligarchia nella quale le grandi famiglie
sono in perenne competizione. Ognuna di esse deve dimostrare il proprio potere e la propria ricchezza; e in questo periodo di ripiegamento di
Venezia su se stessa, il miglior sfogo è la festa, con il suo corteo di concerti lussureggianti. L’apertura, da parte dei più ricchi patrizi, dei primi
teatri lirici destinati a un pubblico pagante è dunque il risultato di questo crescendo costoso e dimostrativo in un contesto di declino economico
(in seguito alla scoperta del Nuovo Mondo agli albori del Cinquecento e allo spostamento a ovest del centro geopolitico dell’Europa, la città ha
infatti cessato di essere la più potente del continente).
Del resto, in materia di arte profana Venezia godeva di una libertà senza pari in Occidente. Libertà di pensare, di creare e di pubblicare, dovuta
in gran parte alla separazione che da molto tempo essa aveva applicato tra Stato e Chiesa – situazione allora unica in Europa.
Ora, agli inizi dell’età barocca, al vertice dell’arte profana veneziana non può esserci che la musica.