Mostra a cura di Francesca Valente
I grandi muri che parlano, e ascoltano
Le fotografie di Ljubodrag Andric, stampate in un ampio formato che assorbe l’interezza del campo visivo, non includono
mai la presenza della figura umana. Le sue visioni si soffermano su architetture riprese frontalmente, esaltando la fissità
metafisica delle pareti e l’orizzontalità delle linee che proseguono oltre i margini dell’immagine. Sono muri nudi, ma
non muti. Campiture di colore dispiegate verso una nozione di pittura astratta, che però accorciano repentinamente
le distanze dalla realtà non appena l’occhio dell’osservatore intuisce la presenza di un dettaglio concreto: la colatura
di umidità, l’imperfezione del cemento, la crepa, il ciuffo d’erba, la maniglia di una porta laddove lo sguardo non la
attendeva. I paesaggi urbani di Andric recano la traccia interiore, in absentia, di chi li ha edificati e di chi attende di
abitarli. Interpellano lo spettatore e lo invitano a entrare in uno spazio di relazioni potenziali. E il dialogo che queste
immagini generano non può che prendere spunto dallo spazio che ospita la mostra, ovvero la Fondazione Querini
Stampalia, luogo di uno dei più celebri interventi di Carlo Scarpa.
Come sottolinea Francesca Valente, curatrice della mostra e già direttore degli Istituti italiani di cultura di San Francisco,
Toronto, Vancouver, Chicago e Los Angeles: “Nel contesto della Fondazione Querini Stampalia, Andric dialoga con Carlo
Scarpa in una dimensione sospesa fra oriente e occidente, intrinseca alla città lagunare. E il suo sguardo si sofferma in
particolar modo sul giardino, luogo ideale per un viaggio interiore, ancora in parte da intraprendere. Si realizza così un
percorso di efficace sintesi emotiva il cui approdo è una identità personale stratificata, composita, fatta di suggestioni e
ricordi, sedimentazioni, citazioni e riverberi paradossalmente remoti e quotidiani, antichi e contemporanei”.
Anche Tobia Scarpa, architetto come il padre Carlo, nel testo scritto per la pubblicazione che accompagna la mostra si
sofferma sul potenziale dialogico delle fotografie esposte: “nelle fortissime immagini di Ljubodrag Andric […] l’indagine
sulla forma e sul retaggio umano, che emerge senza presunzione, invoca chi guarda a una riflessione in cui si annodano molti quesiti.
Ljubodrag Andric (Belgrado, Yugoslavia, 1965) proviene da una
famiglia di artisti. Il suo interesse per la fotografia comincia a quindici
anni. Studia letteratura all’università di Belgrado, per poi dedicarsi interamente
alla fotografia. Si trasferisce a Roma nel 1986 e diviene cittadino
italiano nel 1989. Nel 2002 è a Toronto, Canada, dove tuttora risiede, avendo
ottenuto la cittadinanza canadese nel 2002.
I lavori fotografici in grande formato di Andric sono caratterizzati dall’assenza
della figura umana e da una struttura formale che, nonostante l’attenzione
al dettaglio realistico, affonda le radici in varie forme di astrazione
geometrica. Uno dei tratti distintivi dei lavori di Andric è la qualità
tattile dell’immagine, che fa pensare all’affresco, scelta che trova origine
nel rapporto di familiarità mantenuto da Andric con la tradizione pittorica
italiana. Quest’anno il suo lavoro è presente alla sesta edizione di Bocconi
Art Gallery (BAG), a Milano, e all’edizione 2016 della Triennale, sempre nel
capoluogo lombardo.
Un’estesa monografia sul lavoro di Andric, recentemente pubblicata da
Skira, è stata presentata il 25 maggio 2016 presso la Galleria Carla Sozzani
di Milano (Ljubodrag Andric, Works 2008–2016, a cura di Demetrio Paparoni,
Skira, Milano 2016, con testi di William Ewing, Barry Schwabsky, Aldo
Nove e Philip Tinari).