Quando si incontrano sul proprio cammino pellicole simili, vien da gridare che il cinema italiano non solo non è morto, ma si ha voglia di abbassare la testa e volgere lo sguardo altrove, vergognandosi persino di averlo pensato. Girato interamente nelle valli occitane del Piemonte, un ex professore decide di trasferirsi con tutta la sua famiglia - una moglie e tre figli - in un paesino di poche anime, sulle montagne, per poter vivere secondo natura. Nella diffidenza generale, Philippe e sua moglie vivono di pastorizia, cercando di raggiungere quel difficile equilibrio con le cose del mondo e con gli anziani abitanti del posto.
Il film di Giorgio Diritti vale almeno quattro stelle. Una per il coraggio, due per le difficoltà della distribuzione (il film fa la spola fra una sala e l'altra di Italia, dove il mercato non sembra accorgersene, mentre all'estero ha fatto incetta di premi e riconoscimenti), la terza per la prova corale di tutti gli attori, bravissimi e non professionisti (eccezion fatta per Thierry Toscan e Alessandra Agosti), la quarta per risarcirlo moralmente di tutto ciò che ha subito e per tutto ciò che subirà, nella cecità dei nostri critici e dei nostri speculatori culturali. 'E l'aura fai son vir' - questo il titolo occitano del film - si riferisce al detto popolare che vuole il vento una metafora di tutte le cose, un movimento circolare in cui tutto torna, come rappresentato nel film dalla figura di uno scemo del villaggio che corre nei prati simulando il gesto del volo.