Dalla tradizione alla creazione. Così si potrebbe riassumere la ricerca spirituale e insieme artistica del performer, danzatore e coreografo beninese Koffi Kôkô, apripista della scena moderna della danza africana in Europa, che trova espressione in un’originale sintesi tra radici nere e cultura occidentale, di cui è esemplare Passage, l’assolo dell’84 portato in tournée in tutto il mondo.
La sua formazione artistica è una vera e propria iniziazione alla danza, passata attraverso i riti animisti della regione d’origine e la cultura Nago-Yoruba, che rivivono nel potere sciamanico emanato da un originalissimo linguaggio del corpo, veicolo di misteri inaccessibili alla parola. Il retaggio di una danza “oracolare”, che si fa tramite della saggezza divina, trova nuova linfa proprio quando Koffi Kôkô, a metà degli anni settanta, si trasferisce dal Benin a Parigi e poi a New York, entrando in contatto con la lezione di artisti come Peter Goss, Yoshi Oida, oltre alle scuole di Katherine Dunham e Alvin Ailey.
La particolare simbiosi fra matrice afro ed esperienza occidentale di Koffi Kôkô trova spazio anche nelle collaborazioni con alcuni tra i più importanti rappresentanti della danza e del teatro contemporanei, tra cui figurano Pierre Doussaint, Bruno Boêglin, Shiro Daimon e Yoshi Oida, Gabriel Gbadamosi e i ballerini di flamenco Mari Carmen Gracia e Peter Badejo. Con Ismael Ivo, Koffi Kôkô ha interpretato The Maids, dall’omonimo testo di Jean Genet, per la regia di Yoshi Oida, spettacolo premiato nel 2003 con il Time Out Award come miglior produzione dell’anno.
Koffi Kôkô arriva per la prima volta alla Biennale di Venezia con il suo ultimo assolo, La Beauté du Diable, una novità per l’Italia, che affronta il paradosso della vita, la dualità umana e universale del bene e del male. Provenendo da una cultura dove questi due concetti sono considerati un’espressione inscindibile, Koffi Kôkô s’interroga sulla percezione giudaico-cristiana che al contrario li separa.
“Chiunque venga stregato da Koffi Kôkô dimenticherà immediatamente che l’uomo ha creato il diavolo per spiegare il male intrinseco alla sua stessa natura. L’assolo è spirituale, raffinatissimo... Koffi Kôkô sta in piedi, danza, fluttua sopra ogni cosa, incluso se stesso. Ci mostra che l’Africa ha qualcosa a che fare anche con il Butoh, quando si presenta istintivamente molto concentrato, meditativo, con i piedi piantati a terra e allo stesso tempo assume un’aria spirituale, fremente di energia dentro e con una calma quasi stoica fuori. Se solo lo volesse, potrebbe facilmente entrare in contatto con il regno dei morti. … A questo punto il vocabolario della tradizione appartiene solo a lui, e lui gli ridà vita, con semplicità e imprevedibilità. Non c’è dubbio che Kôkô sia un numero uno della danza. E come tale si permette assoluta libertà e fa suonare tutti i “tasti” del suo corpo con grande carica ironica. La Beuaté du Diable è free jazz, danzato in dialogo con i musicisti che lo accompagnano sul palcoscenico” (Thomas Hahn, “Tanz”).