teatro
L'ebreo

Con Ornella Muti, Duccio Camerini, Mimmo Mancini; di Gianni Clementi; regia di Enrico Maria Lamanna.

Negli anni ’40, con l’entrata in vigore delle leggi sulla discriminazione razziale, emanate dal regime fascista, molti ebrei, presagendo un destino incerto, avevano pensato di mettere al riparo i loro beni, da presumibili espropri, intestando le loro proprietà a prestanome fidati di razza ariana. Marcello Consalvi, al tempo oscuro ragioniere, è stato uno dei fortunati beneficiari. Il suo Padrone gli ha intestato tutte le proprietà. E’ ricco e vive con la moglie Immacolata nello splendido appartamento del Padrone nel ghetto ebreo di Roma. La vita borghese della coppia è improvvisamente sconvolta, dopo 13 anni, da qualcuno che bussa alla loro porta.

L’Ebreo nasce dal desiderio, partendo da un fatto poco frequentato storicamente e teatralmente, di indagare, per l’ennesima volta, l’animo umano. E specificatamente il grado di aberrazione che un essere umano può raggiungere pur di non rinunciare ai suoi privilegi. Certo, in quanto ad aberrazione, la storia contemporanea non teme confronti. La scrivo volutamente con la “s” minuscola questa storia, probabilmente perché vivendola in prima persona non ho di conseguenza avuto l’opportunità di somatizzarla. Ma la percezione che si ha di questi nostri anni tanto “piccoli” e tanto volgari, è talmente fastidiosa da provocare spesso una voglia, più che di digestione, di esorcismo. Scriverne non è facile. Ricercare poi poesia in questa “storia” è davvero impresa impossibile. Poesia, spesso tragica, che al contrario si respira frequentemente nella “Storia”, con la “S” ‘stavolta sì maiuscola. La II guerra mondiale, ad esempio, ormai somatizzata e sedimentata al punto da non costituire più un monito per le generazioni più giovani, assume per questo tentativo, l’aspetto di una vera e propria esigenza drammaturgica. Infatti, anche se è solo il ricordo della Guerra e delle atrocità degli anni ’40 ad essere evocato nel L’Ebreo, ciò credo basti a riempire di significato altro l’invenzione della trama. La piccola storia di una coppia travolta dall’evento, tanto temuto, quanto atteso. Il tentativo di descrivere il progressivo deteriorarsi della certezza in una sorta di accidia, per quanto concerne il personaggio maschile, e da una vera e propria incredulità, che non tarda a trasformarsi in rabbia ed ira, ad obnubilare il personaggio femminile. La scelta espressiva del “romano” per raccontare tutto ciò, si inquadra, prima che in un percorso personale, nell’esigenza di proporre un’ambientazione ideale (Il Ghetto di Roma) e mettere in risalto le qualità/difetti dei protagonisti. E, a dispetto dei sacrosanti pregiudizi verso un uso/abuso cabarettaro-televisivo del linguaggio romano, in questo specifico caso, credo sia la lingua giusta per esaltare in senso teatrale il cinismo e la follia dei nostri protagonisti.

dettagli
Biglietto: Intero € 25.00, ridotto € 23.00
quando
dal 17/11/10 al 21/11/10
novembre 2010
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