ITALICS
Arte italiana tra tradizione e rivoluzione 1968-2008

L’offesa degli esclusi, o chi per essi. Gli inclusi che si sentono mal rappresentati e come gesto conseguente ritirano l’opera. Prese di posizioni a priori e a spada tratta. Minacce legali. Accuse di presunto ideologismo. Il pugno chiuso nella figura di Francesco Clemente nell’invito. Lo spettro di vischiose strumentalizzazioni passatiste. Questi gli antefatti. Il susseguirsi di sterili rimbalzi polemici da una testata all’altra è cronaca di ieri. Vano agitarsi di particelle prima dell’apertura di una mostra che già allestiva attorno a sè un rutilante schiamazzo mediatico. Finalmente Palazzo Grassi ha schiuso il sesamo. “Italics- arte italiana fra tradizione e rivoluzione 1968-2008” gestita in collaborazione con il Museum of Contemporary Art di Chicago, non è più segreta cosa: aprirà al pubblico sabato fino al 22 marzo per poi trasvolare negli States.

Mostra-contenitore targata Francesco Bonami. Tanti i soliti noti tra “color che son sospesi”, i rivalutati, gli stravalutati, i rivisti, e quelli in attesa di definitiva riscoperta. Arbitraria carrellata su quarant’anni di manufatti artistici della penisola. La presenza di un curatore unico dotato di possibilità di scelta e gusto presuppone una visione parziale e arbitraria, bisogna farsene una ragione, è nelle cose. Il consenso unanime farebbe agiatare Lapalisse nel feretro. Due suggestioni a fare da puntelli al viatico che è sempre e comunque una mostra. Due fotogrammi estratti dai due film italiani presenti a Cannes che quest’anno hanno fatto più discutere “Il Divo” di Paolo Sorrentino e “Gomorra” di Matteo Garrone. Immaginate Giulio Andreotti che deambula solitario in un paesaggio quasi desertico, immaginate due giovani camorristi a torso nudo con fucili mitragliatori su una spiaggia: “rotaie che corrono perfettamente parallele atraverso quarant’anni di storia italiana, sulle quali ho deciso di collocare il titolo della mostra” esplicita Bonami.

Ed ancora un film convocato a sostenere i complessi multiversi di quarant’anni di storia d’ arte nostrana “I Vitelloni” di Fellini dove-testualmente”un gruppo di giovani è incapace di lasciarsi alle spalle la comodità deprimente e noiosa della provincia per intraprendere il necessario viaggio alla scoperta del mondo”. Ulteriore parallelismo con gli oltre cento artisti scelti per una corale riemersione. In quest’attitudine di affaccio al mondo sarebbe forse parso più consono e spaesante il titolo della mostra d’ apertura di Palazzo Grassi sulla collezione di Francois Pinault: “Where are we going?”. Senza ambiguità, promozionali nella sintesi, le intenzioni: “Italics” vuole offrire a un pubblico internazionale l’opportunità di scoprire un territorio nascosto, una grande e antica civiltà contemporanea rimasta sepolta sotto la cenere del vulcano politico esploso nel 1968”. E rincarando la dose: “Italics mette sul lettino dell’analista l’arte italiana nel tentativo di capire meglio la sua storia fatta di traumi rimossi”. Primo impatto: l’infilata di nove salme in marmo bianco coperte da un lenzuolo, dell’irrinunciabile Maurizio Cattelan: “una scultura che collega con un filo diretto la storia dell’arte alla cronaca del presente: da Bernini ai cadaveri dell’Iraq”.

Salendo la scalinata, subito, due micro cose di Gino De Dominicis: una roccia e un autoritratto. Vagando in ordine sparso senza sostegni cronologici: Penone e il suo “Essere fiume”, una serie di inediti disegnini da enfant terrible della Beecroft, le donnine galleggianti in inquiete pose di Margherita Manzelli, Gnoli e le sue macro-vive cose (in questo caso una sedia e una mela). Guttuso, Baj, Fabrizio Clerici e il suo trip per il labirinto. Plurimi-lacerazioni (numerate) e binari di Vedova fine anni ’70. Un De Chirico tardo, di matrice ellenica con una didascalia che ne sottolinea le virtù di pictor optimus. Ettore Sottsass in scorribanda fotografica sulle possibilità inventive del palo. Gastone Novelli che nel 1968 scrive, e come sarebbe potuto essere altrimenti “La Biennale è fascista”. Le “interrelazioni cromospeculari” di Getulio Alviani. L’Italia d’oro rovesciata di Luciano Fabro. Foto di glutei consolle di Paola Pivi. Pochi e ben dosati i video. Una donna nuda che sbatte la testa ostinatamente contro le pareti è il contributo di Monica Bonvicini, l’ormai classico video neo-barocco del Vezzoli nazionale e poche altre cose. Tra le installazioni: una foresta di totem pop-psicadelici di Patrick Tuttofuoco, Pistoletto con una gabbia sugli infiniti possibili in luce e fuga prospettica. Ancora Cattelan che si vuole scoiattolo suicida in una cucina in miniatura. “La fusione della campana”di Perrone. Riferendo alla mostra Bonami la apostrofa “il film italics”. Che la dice lunga sull’ammissione di essersi, letteralmente e figurativamente “fatto un film”.

Giovanna Dal Bon
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