Medardo Rosso

Medardo Rosso (Torino 1858 – Milano 1928) non ha certo bisogno di presentazioni: è uno dei più importanti maestri del secolo scorso, ha anticipato di mezzo secolo le soluzioni dell’informale; a lui si ispirano artisti d’avanguardia come Pollock e Beuys. La sua rivoluzione? La cera, un materiale molle, liquido organico, come lo definisce Paola Mola, che insieme a Fabio Vitucci, ha curato la mostra “Rosso. La forma instabile” in corso alla Peggy Guggenheim Collection fino al 6 gennaio (catalogo Skira).

Non ha certo bisogno di presentazioni, ma quella che si offre in quest’occasione, è una rilettura innovativa della sua opera, a cominciare dall’allestimento, ispirato alle vecchie foto del suo studio, che crea, intorno a ciascuna statua, complice anche la bassa illuminazione, un’aura quasi sacrale, mettendola in corrispondenza con le altre opere e moltiplicando i rimandi grazie all’attento uso delle ombre. Non è una mostra facile, richiede attenzione e silenzio.

L’altro elemento importante è costituito dalla ricerca che ha preceduto quest’evento, con il riordino dei preziosi materiali d’archivio, comprese le fotografie, custodite dal Museo Rosso di Barzio (Como), diretto dalla nipote Danila Marsure Rosso.

Lo scopo è quello di mettere ordine nella cronologia, spesso trascurata se non alterata dallo stesso Medardo, che amava conservare per anni (è il caso della Famosa Madame X) nel suo studio le opere e, sopratutto, che ritornava, forse ossessivamente, sullo stesso soggetto, usando materiali diversi, dal gesso, al bronzo, alla cera, compresi i rarissimi e finora inediti esemplari in cera nera come “Memnome” del 1902-1904. Il repertorio iconografico di Medardo Rosso è, infatti e volutamente limitato, per lo più busti, in prevalenza di donne e bambini. Ed è interessante, ad esempio, il confronto tra lo “Enfant au sein” (cera su gesso) del 1899 e le diverse versioni dello “Ecce puer”, compresa l’ultima che è anche l’ ultima opera, in assoluto, del 1917.

Per quanto riguarda i ritratti femminili si va dalla enigmatica, e più che famosa “Madame X” (esposte, insieme le versioni del 1896 di Ca’ Pesaro e quella, quasi coeva e inedita, di collezione privata, entrambe in cera) all’accentuato espressionismo della “Grande rieuse” (versione in bronzo del 1899 di Palazzo Pitti: in cera del 1910 di collezione privata e, ancora in cera, del 1914 dalla Gnam di Roma): In tutto 22 sculture. A cui vanno aggiunte circa ottanta fotografie, che, come la cera, è arte del transeunte e arte della luce, ben oltre il loro ruolo di documentazione. Rosso le stampava di persona, manipolandole e sporcandole, in un continuo, defatigante, lavorio di trasformazione.

Lidia Panzeri
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