ARTE AMERICANA DAL 1850 AL 1950 – COMING OF AGE
Un secolo americano alla collezione Peggy Guggenheim fino al 12 ottobre 2008

L’immensa vastità del paesaggio che quasi non conosce orizzonte. Un senso di irraggiunta grandiosità che induce all’ottimismo. A pennellate sicure ed estese, con spirito pionieristico e vitale, i pittori americani della prima metà dell’Ottocento esprimono l’attaccamento alla loro terra. Appartengono alla Hudson River School e rivendicano un loro linguaggio, specificatamente americano. Una mostra, un percorso che attraversa un secolo intero, il titolo, intraducibile “Coming of age. Arte americana dal 1850 al 1950”, alla seconda tappa europea. Dopo la Dulwich Picture Gallery di Londra approda alla Fondazione Guggenheim di Venezia. Le opere, settantuno tra dipinti e sculture, provengono dalla Addison Gallery of American art di Andover, nel Massachusetts, fondata dal filantropo Thomas Cochran nel 1931 raccoglie un condensato prezioso di cento anni di arte americana (oltre 16.000 opere). Dai paesaggisti della Hudson river all’espressionismo astratto. L’articolata e sceltissima traiettoria si snoda negli spazi espositivi rimessi a nuovo della Guggenheim Collection, con un allestimento a contrappunto gestito personalmente da Philip Rylands.

Ogni stanza ha un colore ben definito che sembra emanare dallo spirito dei quadri. Primo movimento: il vento rosso dell’ovest che avvolge strepitosi landscapes a perdita d’occhio. La minaccia che incombe dal “Temporale imminente” di Albert Bierstadt (ne dipingerà un altro, dieci anni dopo George Inness, caricando in drammaticità); luminescente e profetico il “Monte Kathadin” di Church, un ravvicinato “Studio di sottobosco” e l’elegia intrisa di luce di “Pescherecci con la bassa marea” di Fitz H. Lane. Subito, sulla destra, la malia di un giovane Whistler in toni cupi argentei con il vecchio ponte di Battersea commissonatogli da un magnate greco mentre già viveva a Londra. L’arte americana agli inizi e il forte bisogno di rivendicare un’identità propria è al centro di un’interrogazione radicale che si pone Susan C. Faxon, uno dei due curatori assieme a William C. Agee: “cosa c’è di veramente americano nel’arte americana?”. La risposta sembra arrivare spontanea dal pittore Asher B. Durand che si rivolgeva così ai suoi studenti nel 1855: “Non andate all’estero alla ricerca di materiale per esercitarvi con la matita quando le attrattive ancora incontaminate della nostra terra natia hanno diritto ai vostri affetti più profondi (…)”.

Ma sarà ben presto inevitabile la spinta verso l’Europa, irresistibile sete di contagio con le esperienze estetiche del vecchio continente. I giovani artisti americani non resistono, e sarà un continuo travaso e gioco di rimbalzo alla ricerca di tensioni espressive che travalichino l’innocenza tutta naturalistica del loro “incontaminato” immaginario. Già da quel periodo i potenziali committenti e critici guadano l’oceano per ricevere nuove sollecitazioni. La mostra svela al meglio quest’ansia di inglobare nuovi impulsi di linguaggio.Sarà l’impressionismo, il post-impressionismo, le smanie cubiste, i fauves. Rimanendo fedeli alle loro tematiche: orgoglio nazionale, forza che sprigiona dal paesaggio, vitalismo, filtrano l’esprienza impressionista senza nessun complesso. Un gruppo di artisti “trasloca” in Europa per trascorrere gli ani della maturità, il più conosciuto tra loro è John Singer Sargent che però in Europa c’è anche nato compiendo il percorso contrario; tornando cioè in patria in tarda età. La mimesi impressionista è evidente nello “stagno con abete” di Twatchman, nella “Valle della Senna” di Robinson, vicino di casa di Claude Monet a Giverny.

La vera accellerata per l’arte americana accade in una data fatidica. L’occhio clinico del fotografo Alfred Stieglitz segna la svolta, nella sua Gallery 291 una serie di strepitose esposizioni preludono alla gigantesca mostra dell’Armory Show nel 1913 dove tutte le tendenze del contemporaneo si danno convegno.

Il XX secolo sussulta di spasmi realisti nelle gesta di Robert Henry, George Bellows John Sloan per culminare ne realismo metafisico di Eward Hopper presente in mostra con lo spaesante “Manhattan Bridge Loop” del ’28. L’avvento del modernismo negli anni Trenta sposta l’asse da Parigi a New York fino al naturale sbocco nell’espressionismo astratto di Kline Pollock e Smith. L’itinerario sfuma negli anni ’50 con un ‘ultima sala di elegante equilibrio.

Giovanna Dal Bon
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