Roma e i Barbari

Il sontuoso busto del 180 d.C. dell’Imperatore Marco Aurelio (1590 grammi d’oro a 24 carati), proveniente da Avenches (Svizzera), miracolosamente sopravissuto alle razzie della storia, contrapposto a quello misterioso di un barbaro, in bronzo, del I-II secolo d.C., rinvenuto in Svezia circa un secolo fa, sono i due loghi di “Roma e i barbari”, la prima grande mostra archeologica della nuova gestione di Palazzo Grassi di François Pinault. Sottotitolo “La nascita di un nuovo mondo”. L’operazione è di grande importanza sia per l’indubbia qualità degli oggetti esposti, provenienti da una vasta area geografica che spazia dall’Africa settentrionale all’intero continente europeo, sia per le implicazioni ideologiche, particolarmente care al curatore Jean-Jacques Aillagon (già direttore di palazzo Grassi). Quest’ultimo, infatti, è convinto che la componente barbara rappresenti uno dei fattori più importanti dell’identità europea, finora, però, ampiamente sottovalutato e sottolinea come i diversi popoli barbari e le popolazioni romane erano destinate ad integrarsi. Certo nei mille anni di storia presi in esame, vale a dire dalla conquista della Gallia da parte di Giulio Cesare (58-51) a. C. fino all’anno mille dell’era cristiana, quando Re Stefano di Ungheria si converte al cristianesimo, molti eventi si sono susseguiti con episodi di grande ferocia in un campo come nell’altro. I Romani che annientano i Galli, vedi la splendida statua del prigioniero della fine del I secolo a.C, ritrovato nel 1926 ai piedi dei Pirenei, o, viceversa, Alarico che nel 410 d. C. mette a sacco Roma, confronta l’interpretazione tardo romantica che ne dà il pittore francese Joseph-Noel Silvestre (1890). Tutto questo prima che l’integrazione avesse luogo, grazie, soprattutto, al comune sostrato linguistico latino e alla conversione dei barbari al cristianesimo. Insomma, afferma convinto, Aillagon i barbari come risorsa per un diverso assetto politico dell’Europa, allora, come oggi, che sono, di nuovo, tempi di immigrazioni, sia pure con popolazioni diverse.

Questo quanto all’ideologia sottesa, per il resto si rimane ammirati dalla quantità, quasi 2000 oggetti esposti, e dall’alto livello degli stessi. “Oggetti splendidi, che proprio per questo non hanno bisogno di troppe spiegazioni” sostiene ancora Aillagon specie nei confronti di chi gli obietta la difficoltà di orientarsi in questo affascinante, ma non sempre decifrabile labirinto. Un dato clamoroso, tuttavia sta a dimostrare la straordinaria e irrepetibile opportunità che si presenta ai visitatori della mostra: sono quaranta i tesori completi, frutto di scavi, anche recenti, di tombe, vedi la tomba della regina Aregonda, moglie di Clotario I, re dei Franchi del VI secolo d.c.

La mostra, allestita in collaborazione con l’ Ecole Française de Rome e il Kunst und Ausstellungshalle der Bundesrepublik Deutschalnd di Bonn, si articola in 31 sezioni, brevemente illustrate nella agile e utile miniguida dal costo di 8 euro. L’inizio, ovviamente, è romano e si segnala, soprattutto, per lo splendido sarcofago di Portonaccio. Subito dopo, alla fine della prima rampa di scala è raffigurato lo sterminio, anche questa illustrato da un pittore francese dell’Ottocento, Lionel Royer, delle legioni romane da parte di Arminio (9 d.C.). Il primo piano si conclude con la caduta dell’Impero Romano. Tra le sale più interessanti quella dedicata alle diverse religioni non cristiane, praticate durante l’impero con rarissimi i reperti. C’è il toro tricorne, (III-IV) legato al culto del dio Mitra accanto all’enigmatico ritratto del dio pagano nordico Freyer (IV secolo d. C.).

Il secondo piano è dedicato ai regni barbarici, dalla loro nascita alla loro decadenza fino al sorgere, con Carlo Magno, del Sacro Romano Impero, ideale continuazione di quello romano. Sfarzoso l’uso dell’oro sia negli oggetti di uso quotidiano, come le fibule, che nei raffinati gioielli o nella decorazione delle spade. Soprattutto trionfa negli oggetti a carattere religioso, come la serie preziosa delle croci o il cofanetto detto di Teodorico, con le reliquie di san Maurizio, proveniente dall’omonima abbazia svizzera del VII secolo.

Lidia Panzeri
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