La musica popolare italiana è viva e piace ai giovani. Ne sono convinti gli etnomusicologi che nelle loro ricerche si trovano sempre più spesso di fronte a giovanissimi appassionati. Dai suonatori delle antiche launeddas sarde, triplicati negli ultimi anni, alla vivace scena musicale napoletana, i principali esempi di questa tendenza sono analizzati a Ca’ Foscari nel ciclo “Incontri di etnomusicologia italiana”, a cura di Giovanni De Zorzi, ricercatore del Dipartimento di Filosofia e Beni culturali.
«Siamo abituati a pensare che “musica popolare italiana” significhi la musica Pop italiana, che in realtà è un pop/rock internazionale cantato in italiano da rispettabilissimi e bravissimi interpreti, che le radio ci impongono in heavy rotation – sostiene Giovanni De Zorzi -, in realtà, il termine “musica popolare italiana” rinvia ad una tradizione antica, trasmessa oralmente da maestro ad allievo che oggi, dopo un periodo buio tra 1960 e 1980, a sorpresa, è più viva che mai. La tradizione è spesso passata da nonno a nipote, saltando almeno una generazione, quella dell’industrializzazione, e i giovanissimi la stanno riscoprendo, mescolando tradizioni a versioni moderne. Le ragioni si trovano in vari e complessi fenomeni sociali che antropologi, sociologi ed etnomusicologi studiano sul campo».