Un nord-est di cieli opachi, di albe attonite, immobili, di svincoli autostradali, di amori infecondi come l’asfalto, di sfiati. I colori smarriti in una patina di bianco, accecante come nebbia, una prigione. La luce è irreale, non sa di pulito, fa male agli occhi. Anche la polvere di cui si parla è bianca, Bianca che si inietta in vena. Ci vorrebbe qualcosa di rosso vicino. In una Padova psichedelica, tre storie si srotolano, si smarriscono per poi ritrovarsi e perdersi di nuovo. Testi sofferti, dettati da un’urgenza fisica tale da far quasi accavallare le parole. Parole provate, passate per la carne, vere. Si entra nello spettacolo come con la punta di un cucchiaio che si fa strada tra la crosta di una creme brulè. Ecco la città, le strade, i palazzi, i bagni della discoteca e Danzica, Danzica dannata, Danzica disperata, Danzica salvezza, Danzica da iniettare, Danzica da dimenticare. Più che uno stare è un cadere. C’è commozione, come per un albero abbattuto o un uccello ferito. Eppure in questo naufragio c’è fame di realtà, di amore, di speranza.