“È la massima semplicità che conduce alla purezza”,
è questo l’aforisma con cui si apre Jiro e l’arte del sushi, il documentario che ci parla dell’arte di un modo di nutrirsi che negli ultimi dieci anni ha conquistato il globo. Perché la potenza di tale film poggia pressoché interamente su un minimalismo dal sapore filosofico di cui
Jiro Ono, il proprietario del Sukiyabashi Jiro di
Ginza, quartiere di Tokio, è espressione vivente.
Il sushi, una pietanza così strutturalmente semplice,
diventa sintesi perfetta di un modo di vivere che lega in maniera armoniosa più dimensioni esistenziali, nell’oscillazione di un ferreo dualismo di stampo spiccatamente orientale: il pesce e il riso. Sono gli unici due ingredienti di un piatto apparentemente povero, eppure così denso di implicazioni, perché non è sotto la lente
della specificità che questi elementi vanno visti,
bensì nell’ambito della loro indissolubile unione. Gelb costruisce un discorso di rara efficacia, la cui forma emana una bellezza quasi estatica, sorretto da una colonna sonora in cui convergono Cajkovskij, Mozart, Bach, Richter,
ma soprattutto Philip Glass.