Inno ad una bellezza altra, Misurabilia ironizza sulla necessità tanto umana quanto riduttiva di catalogare e leggere regole laddove non ci sono che eccezioni, dove l’urgenza di definire cela spesso la paura dell’ignoto e del diverso, un desiderio di controllo, retaggio dell’uomo occidentale/colonizzatore. Quando nasce l’assunto secondo cui la realtà è conoscibile in modo soddisfacente solo quando è traducibile in dati? La negazione del valore assoluto di misure, categorie e modelli diventa matrice stilistica e si riflette in un linguaggio scenico che accosta movimento, suono e immagine, rovesciando ruoli e competenze all’interno della stessa opera. Moro e Gentile, scandagliano l’immaginario collettivo della “coppia”, in viaggio tra cliché triti e ritriti: nel tentativo di conoscersi, all’interno di una contemporaneità iper informata, non riescono a superare i modelli di riferimento, sono presi dal dato e dalla forma che scambiano per realtà ultima. Attraverso il confronto delle reciproche differenze, i due interpreti scoprono un “codice dello scarto” attraverso cui, finalmente, comunicare. Ne nasce un fraseggio di segni che sembra celare reconditi significati. Ma l’entrata in scena del tecnico-musicista, Matteo Cusinato, rimette tutto in discussione: ci sono altre dimensioni e parametri di cui tener conto! Il dato fisico non risolve. Ci si rivolge quindi al ragionamento astratto e con esso il passaggio dal movimento alla parola è inevitabile: ci si ragiona sopra chiamando in causa storia, scienza e tradizione. Il “percorso scenico” di Misurabilia si muove seguendo uno sviluppo drammaturgico che si evolve dal codice, sotto forma di danza e parola, alla ricerca dell’ibrido, dove ciò che non è identificabile con una precisa categoria si traduce in celebrazione del “mostro”, in una composizione dove s’incontrano ricerca visiva, sonora e cinetica.