Appuntamento mercoledì 30 marzo alle ore 17.00 al Centro Culturale Candiani per l’incontro dal titolo I giardini storici di Venezia, a cura di Ileana Chiappini di Sorio, organizzato dal Centro Candiani in collaborazione con l’Associazione Amici dei Musei e Monumenti Veneziani.
Dalle cronache Barba risulta che il doge Domenico Michiel (1118 – 1129) si era fatto edificare, ancor prima di essere eletto doge, un palazzo con “zardin” a San Giovanni in Bragora; è la prima volta che viene citato un giardino con il concetto di “delizia”.
Successivamente, agli inizi del secolo XIII, il fisico e medico veneziano Gualtieri, aveva creato, con il permesso della Repubblica, un orto botanico nell’isola di Sant’Elena per la coltivazione delle erbe necessarie alla sua professione, così come accadeva all’interno dei monasteri con la cultura dei “semplici”.
Nel Quattrocento, infine, dato che il giardino non poteva svilupparsi come nella Terra Ferma, esso diveniva ormai continuazione e ornamento complementare alla casa, preventivamente studiato in rapporto alla casa stessa e,l’idea della relazione tra casa e giardino tradizionale era, ad esempio, la presenza del cortile quadrato cintato da mura merlate con il pozzo convergente al centro, leggermente rialzato.
Per quanto concerne invece le piantagioni, oltre ai gelsomini, dovevano esserci le viole, i rosetti e i narcisi descritti da Cornelio Castaldi per il giardino Priuli mentre a Murano avevano attecchito i anche cedri del Libano.
Ma a Venezia l’immaginazione si rivelava però con i giardini pensili, uno dei quali di proprietà di un segretario di Palazzo, situato a San Gregorio, sopra al tetto della casa da dove apparivano “preziose e rare piante, alcune foggiate dello stesso proprietario a forma di mulini”, quindi un esempio di “ars topiaria”.
La storia e le vicende dei giardini veneziani, spesso disattese dalla storiografia moderna, hanno tuttavia rappresentano una volta di più il carattere e lo stile di un ambiente tanto particolare come è quello di Venezia, che certamente non poteva offrire la possibilità di grandi impianti, né il gioco prospettico con il dislivello del terreno ma doveva cercare, per questo, forme più fantasiose e originali.